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Ho fieramente dichiarato 24 anni di età fino a ieri a mezzanotte. Poi, siccome passano le ore, i secondi, e se li conti anche i minuti, è scoccata la data fatidica, e ora non mi resta che dichiararne venticinque.

Venticinque anni, il quarto di secolo…il giro di boa che sta a metà strada tra i venti e i trenta.

Mi fa impressione pensare di avere effettivamente, innegabilmente, compiuto il mio venticinquesimo anno di vita.

A venticinque anni uno è adulto, ma io non mi sento grande.

Quando ero piccola pensavo che da grande mi sarei sentita adulta e matura, salda sulla mia via e con convinzioni precise e ben strutturate. Cosa che puntualmente non è. Non mi sento così nemmeno un pochino-ino-ino. Vabbè.

E, visto che non mi sento matura, adulta etcetcetc, mi dispiace parecchio avere anagraficamente questi benedetti anni.

Come spesso ripeto, esteticamente non sembro tanto grande, specialmente vestita a caso e struccata, cioè come sono nel 90% del mio tempo. Potrei essere una ragazza sul finire dell’adolescenza. Ho pure qualche brufolo, dannazione.

Oddio….forse questo ora è meno vero di anni fa.

Una volta recentemente ero a Milano, zona porta Genova, dietro all’ex Ansaldo a prendere un caffè con un mio amico. Non mi ricordo più come fosse venuto il discorso, ma la barista, dinanzi al mio commento ironico “ormai ho una certa età” mi ha riso in faccia: “Ma che cosa dici! Sei giovanissima!”. Al che io, prontamente, pensando di stupirla: “Meno di quanto sembra! Quanti anni ho secondo lei?”…e lei, convinta: “Mah, ne avrai ventotto!”. Risultato: trauma per me, e il mio amico piegato in due dal ridere. Ad ogni modo, GENERALMENTE, me ne danno di meno, ecco.

Visto quanto sia importante nella danza studiare al momento giusto, da bambine/ragazzine, e vista la mia condizione di “danza o morte” attuale, pagherei oro e sangue per avere una decina di anni di meno con la testa che ho ora. Potrei anche lanciarmi a fare qualche rituale di magia nera per ottenere un risultato così ghiotto.

Purtroppo, non credo sia cosa possibile. Però ammetto che quotidianamente accarezzo l’idea di impazzire del tutto, scappare dove nessuno mi conosce procurandomi dei documenti falsi che mi dichiarino quindicenne. Una seconda occasione per la mia vita. Che bello che sarebbe. Comunque, non sono ancora così matta.

Quindi, dato che i miei venticinque anni li ho, freschi freschi oggi, e visto che è un numero bello , tondo, che divide una serie di cifre importanti (50, 100 e tutta la tabellina che segue) mi piace lanciarmi in una riflessione su cosa ho capito fino ad adesso del mondo. Perché non mi sento matura, ma sono sempre stata una che pensa molto (troppo), e a volte produco delle cogitazioni di cui sono anche abbastanza soddisfatta.

Ho capito che le cose piccole non sono necessariamente meno importanti di quelle grosse, perché spesso hanno un valore ed un significato ben più rilevante di quel che potrebbe sembrare.

Ho capito che non c’è limite al peggio e la sfiga ci vede benissimo. C’è sempre chi sta peggio, ma questo non vuol dire che si perda diritto a scocciarsi per i piccoli scazzi quotidiani. L’importante è non sentirsi troppo “il mondo e le divinità tutte ce l’hanno con me perché sono piccolo e nero.” se non è veramente il caso…al destino non manca un tragico senso dell’ironia e potrebbe sempre spiegare con parole sue che non è questo il modo di avere rispetto di chi una sfiga nera nella sua esistenza “mai ‘na gioia” l’ha avuta davvero.

Ho capito che l’individuo ha il dovere morale verso sé stesso di rivendicare il suo sacrosanto diritto a commettere i suoi cazzo di errori, e poi, una volta fatto ciò una, due, tre volte, ha il dovere morale verso gli altri di chiedere scusa e ammettere di essere stato un povero pirla.

Ho imparato sulla mia pelle che uno può cambiare sé stesso fino ad un certo punto, oltre il quale non può che accettare come dato di fatto di non essere un capolavoro del cosmo ma solo uno stupido e inutile essere umano come gli altri. Detto ciò, sarebbe poi buona norma cercare di limare le proprie più tragiche asperità.

Ho capito che le emozioni partono sempre prima di aver chiesto il permesso al cervello, è inutile opporsi a questa grande regola del cosmo. Non si può che provarle, anche se talvolta a malincuore o vergognandosene.

Ho maturato la convinzione che per essere un’essere umano decente sia importantissimo conservare come una preziosa reliquia quella meravigliosa spinta di amore verso il prossimo che io penso che tutti (o quasi) nonostante tutto abbiamo legata sul fondo della nostra anima. Non è giusto permettere al mondo circostante, anche se spesso e volentieri si comporta male facendo stare male chi osa non essere un cinico completo, di renderci dei simulacri inariditi che un tempo sono forse stati persone.

Sto imparando che a volte un pianto ingenuo e patetico è meglio di una scollata di spalle finta che lascia le spine lì dove sono, pronte a conficcarsi ancora più in profondità.

Penso che non si possa decidere a chi affezionarsi, a chi volere bene, a chi dare il proprio cuore e chi solo la propria indifferenza, pertanto è inutile tentarci. La ragione non ha voce in capitolo in proposito.

Ho capito, ma è cosa personale alla quale pertanto non si può dare valore universale, che non ho capito assolutamente niente dell’amore: su questo sì, sono una bimba. Forse, se sarà il caso, il tempo mi porterà consiglio.

Infine, ho capito, ma solo a livello teorico, che nella vita come nella danza bisogna essere umili ma non falsamente modesti, pazienti ma senza peccare di eccessiva accettazione. In questo ammetto di dovere ancora dare l’esame di pratica, al momento verrei bocciata.